di Monica Sanfilippo Il tango, genere coreutico musicale tra i più praticati nella società occidentale, rivela una storia ricca e complessa. Si sviluppa nella seconda metà dell’Ottocento nel vivace ambiente di una capitale, Buenos Aires, appena formata (1880), assorbendo e intrecciando le passioni di una popolazione che cresce in maniera esponenziale per effetto di una immigrazione senza precedenti, gente che, dal vecchio continente, si riversa nell’area rioplatanese in cerca di fortuna. Il clima che si respira nelle periferie, come La Boca e San Telmo, quartieri oggi divenuti famosi, è quello dell’intreccio di culture, un meticciato da cui prende corpo un nuovo ballo, fiero e mascolino, malinconico e sensuale, che esprime il senso di riadattamento del popolo latino: il tango. Eppure, l’origine del nome sembra rivelare altro. Tangos, o tambos de negro, erano così chiamati i balli di provenienza africana eseguiti da gente di colore impiegata in Argentina nel periodo del colonialismo sudamericano. Queste danze erano frequenti nelle feste delle comunità di negros: erano di tipo collettivo, dove uomini e donne danzavano uno di fronte all’altro senza toccarsi, seppure compiendo movimenti del bacino che, agli occhi della società locale, apparivano provocatori e sconci. Se da una parte le autorità civili osteggiarono il fenomeno, tollerandolo soltanto al di fuori delle mura della città, dall’altro contribuirono a etichettarlo culturalmente, come danza volgare della gente di colore da relegare ai contesti poveri e subordinati. Così, nella seconda metà dell’Ottocento, quando la situazione sociale e urbana dell’area rioplatanese cambia radicalmente per effetto dell’immigrazione europea, i tangos passano ad indicare per analogia le danze licenziose degli emigrati europei, soprattutto italiani e spagnoli, ma anche portoghesi, francesi, polacchi e “turchi” – termine che indicava genericamente una provenienza orientale. Numerosi gli immigrati affollano i quartieri popolari e, cercando conforto alla nostalgia della madrepatria, iniziano a ballare tra loro, ad intrecciare destini e culture, musiche e strumenti. Le prime musiche su cui si balla sono influenzate da forme e stili diversi che attingono alla milonga, all’habanera, a melodie spagnole e italiane, come la canzone napoletana, al bolero, al fado, e presumibilmente anche all’originario candombe africano, così come si utilizzano strumenti di varia estrazione, tutti facilmente trasportabili, adatti alla chiassosità delle feste: violino, chitarra, flauto e bandoneòn, subito apprezzato per leggerezza, flessibilità e timbro, poi strumento del tango per antonomasia. I luoghi privilegiati d’incontro sono gli spazi dei sobborghi, barros e conventillos; ma non mancano le casas de chinas, luoghi di più ampio intrattenimento, dal bordello al semplice spettacolo; o le peringundines, scuole di ballo spesso fatiscenti e modeste. Il tango rioplatanese assume gradualmente caratteristiche proprie, almeno nei suoi elementi essenziali: è un ballo di coppia, dalle movenze “emotive” che esalta il rapporto uomo/donna, attraverso una simbologia corporea articolata che non altera la sua tecnica di base. Come lo definì il poeta Enrique Santos Discèpolo, è “un pensiero triste che si balla”; ancora, “una camminata ritmata in cui due corpi si appoggiano l’uno sull’altro senza però sostenersi, e da cui si dipana un insieme armonico di movimenti, fatti di cambiamenti di direzione repentini, torsioni del busto e intrecci delle gambe” (S. Valeriani, Tango y tanghero, 2008). Prima che il tango esca dalle balere popolari, però, bisogna aspettare passaggi fondamentali come l’incontro del genere con artisti di straordinario talento. È il caso di Carlos Gardèl, cantante indimenticabile per il timbro della sua voce, ma anche chitarrista e compositore, ancora oggi un’icona culturale e leggendaria per l’Argentina. Con Gardèl il tango conosce una stagione aurea: si lascia alle spalle la sua origine “malfamata” ed entra con forza negli ambienti d’élite, nei cabaret, nei saloni e nei teatri, un po’ come Carols stesso, ragazzo dalla vita difficile, orfano di madre, soprannominato “el morocho del Abasto” (“il bruno dei mercati generali”) che assurge al successo dopo aver fatto la gavetta in gruppi di varietà. Egli inaugura il genere del tango canciòn, che segna l’ingresso ufficiale della voce nel tango; ne standardizza la forma; lo diffonde nel mondo toccando i teatri più importanti delle capitali. E, come se il suo talento avesse raggiunto l’apice dell’espressione esaurendo ciò che aveva da dire, nel 1935 scompare prematuramente a causa di un incidente dell’aereo su cui viaggiava per una tournée in Porto Rico, Venezuela e Colombia. Insieme a lui perdono la vita i due chitarristi e il poeta del gruppo, Alfredo Le Pera, nonché autore delle sue celeberrime canzoni. Il pubblico è in lacrime, e i fan in profonda disperazione. Ma il tango canciòn continua a vivere la sua storia di successo nell’eredità di Gardèl e nelle altre voci del tango, di Roberto Goyeneche, per citarne alcune, detto il “polacco” per la sua chioma chiara, Osvaldo Pugliese, di evidente origine italiana, di Tita Merello e Susana Rinaldi, tra le interpreti femminili. Nella seconda metà del Novecento, un altro personaggio di spicco dà linfa al genere, per molti versi rivoluzionandolo non senza disapprovazione dei connazionali tradizionalisti.
È Astor Piazzolla (1921-1992) nato a Mar de Plata, ma da genitori italiani: il padre Vicente era di Trani, la madre di Massa Carrara. Se Gardèl interpreta la storia e la leggenda del tango, Piazzolla ne è il più grande sperimentatore: mago del bandoneòn, introduce elementi di musica classica e jazz, trasformando le forme tradizionali nel nuevo tango. “El Gato” (il Gatto), così chiamato per la sua abilità e ingegno, ci lascia le più belle opere di frontiera, apprezzate per questo più all’estero che non in Argentina, basti citare Tango progressivo, Libertango, Adios nonino, Historia del tango (vol.1 e 2), ben note in Italia. Oggi a Buenos Aires, come accaduto per altri generi musicali, i giovani apprezzano il tango nella sua veste moderna, rimescolato a influssi fusion ed elettronica. Eppure, la salvaguardia della tradizione è sentita come impellente necessità di espressione culturale e di affermazione dell’identità nazionale, attraverso la fondazione, per esempio, di istituzioni orchestrali come l’Orquesta Tipica Fernandez Fierro. I tradizionalisti, da Gardèl in poi, non sono per niente disposti a cedere all’avanguardia e alla sperimentazione: come dire “tutto in Argentina può cambiare, ma non il tango”. Bibliografia e discografia Farris Thompson Robert, Tango. Storia dell’amore per un ballo, Elliot 2011 Gardel Carlos, The Best of Carlos Gardèl, EMI, CD 1998 Piazzolla Astor, Adios Nonino, Milan Records, CD 2003; Best Tangos, Naxos, CD 2010; Histoire du tango, Fuga libera CD 2010 Valeriani Silverio, Tango y tangueros. Passi, figure, suggerimenti, curiosità, con DVD, Edizioni Mediterranee 2008
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